Stefano Vidili (Torino, 17 giugno 1968) è un ex cestista italiano.
![]() |
Questa voce sull'argomento cestisti italiani è solo un abbozzo.
Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.
|
Stefano Vidili | ||
---|---|---|
Nazionalità | ![]() | |
Altezza | 190 cm | |
Peso | 83 kg | |
Pallacanestro ![]() | ||
Ruolo | Guardia | |
Termine carriera | 2003 | |
Carriera | ||
Giovanili | ||
![]() | ||
Squadre di club | ||
1984-1990 | ![]() | 189 (961) |
1990-1996 | ![]() | 201 (3271) |
1996 | ![]() | |
1996-1998 | ![]() | 30 (258) |
1998-1999 | ![]() | 11 (25) |
1999-2000 | ![]() | |
2000-2002 | ![]() | |
2002-2003 | Monsummano | |
Nazionale | ||
1985 | ![]() | 3 (21) |
Il simbolo → indica un trasferimento in prestito. | ||
Modifica dati su Wikidata · Manuale |
![]() | ![]() |
• Stefano Vidili • Motivi della mia scelta; • Biografia e esordio;
Indice:
• Analisi situazione: • carriera da atleta e allenatore nel mondo del basket e relativo cambiamento di mentalità;
• “Fine - Obiettivo” • Obiettivo: continuare a coltivare il mio talento e la mia passione e vincere; • Fine: divertirsi
• ”Concetto di identità”: • Personalità combattiva e competitiva; • mentalità da atleta e da allenatore;
• “Relazione educativa”: • rapporto con gli allenatori e con la squadra; • rapporto con i propri giocatori;
• “Competenza pedagogica”: • approcciarsi con i propri giocatori secondo le metodiche apprese nel corso della sua carriera da atleta;
• “Azione valutativa”: • Giudizio e valutazione critica sul percorso si Stefano Vidili;
-;
• RIFLESSIONI FINALI • FONTI
Motivi della mia scelta
Ho deciso di analizzare la sua carriera da cestista intervistando in prima persona Stefano Vidili, nonché mio cugino di secondo grado, cogliendo al volo l’occasione di studiare così da vicino la mentalità di un atleta che ammiro molto e che considero un esempio nel mondo dello sport. Parliamo di un campione che si è distinto per la sua passione e determinazione e che si è fatto strada all’interno del mondo del basket professionistico. Esaminare la sua carriera da cestista, i valori in cui credeva e le dinamiche relazionali che caratterizzavano l’ambiente sportivo da lui vissuto, mi ha dato la possibilità di affrontare i 5 macroargomenti della pedagogia trattati a lezione, approfondendoli sulla base del suo punto di vista e della sua esperienza in qualità di atleta e allenatore.
L’esordio
Stefano Vidili è un ex cestista italiano nato il 17 giugno del 1968. Giovane promessa del basket italiano, Stefano passò dalle giovanili dell’Auxilium Torino, società di pallacanestro di Torino, suo paese natale, fino ad entrare a far parte del basket professionistico, giocando con squadre come “Pistoia basket”, "Fortitudo Bologna” e la stessa Auxilium Torino, squadra con la quale esordì.
”Da oggi non sarai più Stefano Vidili… ti chiamerai “Bip”!”, soprannome che fin da subito gli fu attribuito per l’estrema rapidità delle sue azioni in campo.
Con queste parole,_quasi 20 anni fa, il mitico professor Guerrieri accolse l’esordiente al raduno dell’Auxilium Pallacanestro Torino, in un afoso pomeriggio estivo nella palestra di Viale Dogali.
“Come potete immaginare rimasi di sasso, vuoi per l’emozione di essere lì per la prima volta, vuoi per la presenza intorno a me di tutti quei giocatori che fino a qualche mese prima incitavo dalla curva del Palaruffini, insomma riuscii solamente a dire: “ah,ok. Se va bene a lei” (ci misi dieci minuti e mezzo….balbettai come quel personaggio di Dick Dastarldy e le macchine volanti che devono catturare il piccione….” . E’ così che Stefano Vidili commenta le sensazioni da lui provate il giorno dell’esordio.
Vidili ha incrociato giocatori che hanno fatto la storia e lui stesso l'ha fatta; ad esempio quella di Siena: Nella storia della Mens Sana, dove “Bip” totalizzerà ben 202 presenze , giocherà 5944 minuti e realizzerà un totale di 3271 punti , entrando a far parte inoltre della classifica delle palle recuperate (378), degli assist (299) e dei falli subiti (865). Fine e Obiettivo
Cosa ti ha spinto ad iniziare e poi continuare la tua carriera da cestista?
Qual era il fine per cui agivi? e i tuoi obiettivi principali?
La decisione che ha spinto Stefano ad intraprendere il suo percorso da cestista è stata dettata principalmente dalla passione, da ciò che lo rendeva felice.
Il basket gli ha permesso di far emergere le sue doti più profonde, lasciandogli allo stesso tempo quel sapore di divertimento che è essenziale nel mantenere il mordente per arrivare all’obiettivo.
Ciò che scaturisce una passione è uno stimolo, un ambiente, il luogo in cui vivi che fa emergere questo grande sentimento. Lo stimolo per Stefano fu la possibilità di giocare nella squadretta di basket vicino a casa sua, la "Don Bosco Crocetta”, grazie alla quale imparò a convivere all’interno di un gruppo, e ad iniziare a coltivare la sua crescente passione per questo sport.
“Quando sei giovane ti guida principalmente la passione, essa ti fa sentire felice e appagato” (cit. Stefano Vidili). A 16 anni Stefano venne chiamato a far parte dell’Auxilium Torino, squadra di basket professionistica della città di Torino, fu un passo molto importante che lo portava ad un bivio tra il basket praticato con gli amici per divertimento e il basket professionistico, che diventava un vero e proprio impiego a tutto tondo e di conseguenza richiedeva un grosso impegno in termini di responsabilità e di fatica. Nonostante questo passo molto importante, il fine di Stefano rimaneva lo stesso di sempre, ovvero divertirsi. Pur mantenendo un certo livello di serietà e rispetto verso il gioco e verso i suoi allenatori dell’epoca, ciò che lo distingueva dagli altri era proprio la sua innata voglia di divertirsi praticando il suo sport. Durante le partite, infatti, amava osare e si lanciava spesso in azioni fantasiose guidate dal suo istinto.
Consapevole delle proprie spiccate doti fisiche quali l’altezza, la forza, la coordinazione, qualità che lo portavano spesso un passo avanti agli altri, Stefano Vidili, spinto da un irrefrenabile amore per lo sport e per la competitività da esso generata, facendo leva sulla sua passione e il suo talento, mirava sempre più in alto.
“Tutti siamo baciati da un talento, sportivo, scolastico o personale, il segreto per tirarlo fuori e svilupparlo è faticare più degli altri”, conclude Stefano. La fatica, la dedizione che egli dimostrò durante tutta la sua carriera sportiva hanno formato non solo l’atleta di un tempo, ma anche l’uomo, il padre, il coach ed il professionista che è ancora oggi, a dimostrazione del valore educativo insito nel praticare uno sport. Identità
Il concetto di identità : cosa ti contraddistingueva dagli altri ?
Qual è il tuo modo di pensare e di agire all’interno del contesto sportivo?
Quali cambiamenti nel tempo pensi di aver fatto in merito alla mentalità e al modo di agire?
L’identità è un confine sottile, un margine entro il quale una persona si definisce, sono tratti particolari con la quale essa si descrive, contraddistinguendosi da tutti gli altri. Ciò che contraddistingueva Stefano dalle altre persone era la struttura fisica, una genetica particolarmente favorevole, una statura fisica superiore alla media e di gran lunga più prestante delle persone comuni.
Insomma, era un gradino sopra gli altri. Stefano dimostrava un forte spirito combattivo e competitivo, che lo spingeva a fare di tutto pur di far vincere la squadra. Ciò che lo caratterizzava veramente era lo spirito di squadra: era sempre disposto a fare l’assist che permettesse al compagno di fare punto, di segnare un canestro, sempre pronto a sottostare alle esigenze della squadra, di cui era una risorsa fondamentale. Qualsiasi sport praticasse l’obiettivo principale era vincere, mettendo in campo le sue abilità fisiche, tuttavia questo suo insaziabile desiderio di vittoria era anche il suo difetto principale, l’altro lato della medaglia.
Stefano, infatti, non sapeva accettare la sconfitta, in quanto più forte della squadra voleva sempre vincere, e in caso di sconfitta si infuriava, presentando forte delusione. Col tempo, crescendo, imparò ad accettare la sconfitta, insegnando la lezione ai suoi stessi allievi, sottolineando che l’importante in caso di sconfitta è non avere rimpianti, ed essere consapevoli di aver fatto tutto il possibile per la squadra.
A proposito di questo suo cambiamento di mentalità lo Stefano di oggi, che svolge il ruolo di Coach, afferma:“Il compito di un allenatore sta nel far apprendere ai suoi giocatori l’importanza di dare il meglio in campo, ed impegnarsi al massimo, scongiurando un possibile rammarico a fine partita in caso di sconfitta“. Nel corso della sua carriera, passando da atleta ad allenatore, Stefano ebbe un notevole cambiamento di modo di pensare : “Quando sei giocatore il campo lo vedi per lungo, in verticale, quando sei allenatore lo vedi in orizzontale, lo vedi davanti, da sinistra verso destra, hai un modo diverso di vedere il campo” Quando giocava e cresceva, “facendosi le ossa” sui vari campi di basket non avrebbe mai pensato di diventare allenatore, in quanto considerava questa figura come un ostacolo che non gli permetteva di sprigionare la sua fantasia nel gioco, facendolo sentire quasi in gabbia.
Per questo motivo Stefano odiava gli istruttori troppo tecnici, troppo schematici, trovandosi bene invece con allenatori che gli garantivano maggiore libertà di gioco, che gli permettevano di far emergere così il suo reale potenziale. A distanza di anni, in qualità di allenatore, egli permette ai ragazzi un pochino più fantasiosi di osare, senza però uscire troppo dalle righe.
Grazie alla sua profonda esperienza in campo come giocatore, ora nel ruolo di istruttore è consapevole di quanto si debba mediare tra direzioni diverse per mettersi alla guida dei propri giocatori. Bip sottolinea infatti l’importanza di abituare i giocatori più giovani ad un certo tipo di pressione psicologica provocata da un eventuale scontro contro la squadra rivale, abilità che richiede di far convergere tutti verso uno scopo, quello di resistere, di far fronte comune.
Relazione educativa
Come descriveresti le dinamiche relazionali con i tuoi compagni e con l’allenatore (autorità/libertà)?
Stefano ha sempre nutrito un grande rispetto sia per i compagni che per il suo allenatore, anche grazie alla rigida educazione ricevuta in famiglia. A proposito di questo afferma: “La gerarchia dell’allenatore l'ho sempre rispettata, io stesso come allenatore esigo rispetto negli stessi termini in cui lo pongo; tra allenatore e giocatore è un rapporto di dare e avere, fatto di rispetto reciproco”.
I compagni hanno sempre rispettato il suo modo di essere, era introverso, balbettava e a volte, tanto che quando era emotivamente coinvolto faceva persin fatica a parlare. I suoi compagni lo hanno sempre supportato per ciò che concerne la sfera emotiva, sia dentro che fuori dal campo, aiutandolo e sostenendolo. Grazie alla sua esperienza positiva con i compagni di squadra, tutt’oggi, in qualità di allenatore, evidenzia l’importanza del concetto di squadra, preferendo quel tipo di giocatori che uniscono, dotati di spirito di squadra, che tendono ad aiutarsi a vicenda, fattore psicologico non da poco per la crescita di un team. Stefano è dell’idea che un allenatore non dovesse solamente valutare il talento o la media punti di un giocatore, aveva invece il compito di mettere in luce le qualità come la capacità di coesione e di visione di intenti per tutti, con lo scopo di condividere con i compagni di squadra un obiettivo comune, quale la promozione o la vittoria di una coppa. Egli afferma: “Fare un bel lavoro da allenatore significa cercare di unire totalmente quelle menti che compongono la squadra di basket, rendendoli tutt'uno le une con le altre.”
L’importanza del ruolo di allenatore
Che differenza c’è tra mentalità di atleta e da coach?
Parlando del ruolo dell’allenatore, Stefano afferma che questo è un ruolo di un allenatore è fondamentale, quest’ultimo non solo ti insegna come si esegue un tiro da tre punti e come ci si smarca da un avversario. L’allenatore è complice, tuo alleato, è un maestro che ti guida, è colui che ti conosce meglio di chiunque altro, sa sempre di cosa hai bisogno. Il coach ha un compito importante anche dal punto di vista motivazionale, deve orientare i giocatori all’obiettivo, insegnando loro come combattere per ottenerlo. Deve insegnare ai suoi allievi l’importanza di lavorare uniti. L’allenatore di basket non dirige soltanto una squadra, è la mente che unisce tutti i suoi giocatori e li guida, muovendoli all’unisono, come se fossero una sola persona
Competenza pedagogica
Racconta l’episodio della rissa in Fortitudo del ‘98 e spiega come hai gestito la situazione
Era il 24 marzo 1998. Quarti di finale di Eurolega. Virtus Bologna, allora targata Kinder, contro Fortitudo Bologna, la TeamSystem, in quello che all’epoca fu il match con il record di incassi in Italia. La Virtus di Messina è avanti di tredici lunghezze a 2.10 dalla fine del match sulla F di Bianchini; Fucka raccoglie un rimbalzo in attacco, Savic lo abbraccia, bloccandolo e impedendogli di muoversi e tentare il tiro allora succede questo: Fucka si lamenta con Savic per il gesto sleale in attacco, qui partono i primi spintoni e insulti tra i giocatori avversari, intervengono anche gli altri giocatori, gli uni contro gli altri. Entrano in campo anche Vidili e Guy, unendosi alla mischia affiancando i loro compagni. Dopo qualche minuto la rissa è sventata da qualche tecnico e dalla sicurezza del palazzetto.
Le squadre vengono divise, Myers, Fucka, Abbio e Savic furono allontanati per condotta antisportiva. Stessa sorte per Ricky Morandotti, in quanto capitano, e Chiacig, Moretti, Galanda, Gay e Vidili per essere entrati sul parquet. Si osserva così la Fortitudo tornare in campo con soli tre uomini a finire la gara.
A distanza di anni Stefano Vidili risponde così in merito alle vicende della rissa in Eurolega : “La rissa di Eurolega? Myers si era accorto anche di un pugno di Abbio sulla nuca di Fucka. Quando vedi certe scorrettezze, colpi proibiti e il tuo capitano che affronta una situazione da solo, devi intervenire. Una squadra deve essere sempre unita. Oggi mi comporterei in maniera identica, a volte i metodi spicci risolvono tanti problemi. Poi lo dico in maniera guascona, davanti ai miei giocatori lo negherei.”
L’intervista di Vidili mette in evidenza il suo carattere combattivo, sempre pronto a dare tutto per la squadra, anche e soprattutto di fronte ad una situazione di conflitto. Stefano racconta che in seguito alla visione di quell’atto antisportivo ai danni della propria squadra si vide costretto ad intervenire, per dare una mano ai suoi compagni, dimostrando un forte legame che lo univa a questi ultimi.
Oggi, a mente fredda e nei panni di allenatore, Stefano pone un occhio di riguardo per le situazioni di conflitto, insegnando ai suoi giocatori a gestirle in maniera più comprensiva e pacata, prestando sì, attenzione ed importanza all’unione della squadra, evitando però scatti d’ira improvvisi verso i giocatori avversari durante un’ipotetica situazione di opposizione, scatti che metterebbero soltanto a rischio le sorti del campionato e l’incolumità dei giocatori. Anche in questo caso, l’esperienza maturata in campo adeguatamente rielaborata, permette all’allenatore di oggi di mettere in atto con i suoi giocatori uno stile di leadership caratterizzato da una certa competenza pedagogica.
Da atleta a allenatore
Come gestisci le dinamiche relazionali e possibili conflitti con i tuoi allievi rispetto a quando eri atleta?
Abbandonato il parquet da giocatore torna in palestra da allenatore e dopo varie esperienze approda a Piossasco nel 2016 con Nino Ferraro e in 3 stagioni con il gruppo 97/98 vince due titoli (Promozione e Serie D) portando Alter 82 in C Silver. Grazie alla sua esperienza da atleta nel settore, Stefano riesce a mettere in pratica alcuni concetti appresi nel corso della sua carriera sul campo, reimpiegandoli nel suo lavoro da allenatore. Vivere il basket prima di tutto come atleta ha permesso a Vidili di riuscire ad entrare più facilmente in empatia con i suoi giocatori, imparando a comprendere sempre di più le esigenze che caratterizzavano questi ultimi. La volontà di proseguire la corsa non si placa, tanto che Stefano continua il suo percorso di allenatore di basket ancora oggi. Buon lavoro coach!
Azione valutativa
“A distanza di anni se penso al mio percorso e mi guardo indietro provo un sentimento quasi nostalgico, una parte di me vorrebbe tornare nei panni di quel ragazzino 16enne forte e prestante sotto il punto di vista fisico e pronto a tutto pur di conquistare la vittoria. Tuttavia se mi guardo allo specchio sono fiero dell’uomo che sono oggi e dell’atleta che ero un tempo, a dirla tutta non conservo rimpianti, sono felice di come sia andata e ripercorrerei il percorso a ritroso migliaia di volte.”
Come si evince dalle sue parole, Stefano va molto fiero della sua carriera da atleta e ama raccontare la sua storia ancora oggi analizzando essa nei minimi particolari, in modo tale da ricordare quei giorni d’oro. Si nota quasi un sentimento di nostalgia nelle sue parole, forse se esistesse una macchina del tempo la utilizzerebbe per tornare ragazzino e ritentare quel tiro da 3 allora fallito, rigiocherebbe di nuovo quella partita che anni fa perdette. Forse sì, ma non Stefano Vidili. “Bip”, come lo chiamano ancora oggi, è un uomo senza rimpianti e dalla sua esperienza ci insegna che nella vita l’importante non è vincere o perdere, ma essere coscienti di aver dato tutto, di essersi impegnati abbastanza per conseguire il risultato desiderato, insomma, non è importante il risultato, ma il percorso, e quanto lavoriamo sodo per arrivare alla vetta. Non importa se sbagliamo, gli errori fanno parte del gioco, senza di essi non saremmo umani, perché solo chi non ci prova non sbaglia mai! Il pensiero di Stefano ricorda molto la citazione di Michael Jordan: “Nella mia vita ho sbagliato più di 9000 tiri. Ho perso quasi 300 partite. Per 26 volte ho sbagliato il tiro decisivo che i miei compagni mi hanno affidato. Ho fallito tante e tante altre volte. È per questo che alla fine ho vinto tutto”.
In conclusione Stefano Vidili rappresenta un grande esempio di atleta, dotato non solo di incredibili qualità fisiche , ma anche di una mentalità vincente, orientata all’obiettivo. Un grande uomo provvisto di resilienza, una qualità intrinseca nell’essere umano che ti spinge a superare ogni difficoltà, ogni ostacolo con grande spirito combattivo. Spesso si tende a dare per scontate le qualità fisiche di un atleta che gioca in campionati importanti come la serie A1 del basket professionistico, considerando le loro doti come un “dono”, e non frutto di anni di duro lavoro. Sono frequenti affermazioni quali : “è ovvio che è così forte, dopotutto ha la genetica”, oppure : “con un fisico come il suo non serve neanche faticare per raggiungere alti livelli nello sport”, sono le tipiche frasi che si sentono in giro, e spesso e volentieri sono pronunciate da chi di sport non ne capisce nulla e il massimo sforzo fisico che compiono è “sollevare” polemiche.
Purtroppo (o per fortuna) al mondo nulla è dovuto, anche se nasci con delle spiccate abilità fisiche grazie ad una genetica particolarmente favorevole, non è detto che diventerai un campione mondiale solamente da quanto lavoriamo sodo e dalla costanza che ci mettiamo nel raggiungere un obiettivo, questo perché per raggiungere certi livelli non basta volerlo, bisogna anche sudare e faticare, tutto il giorno tutti i giorni, lavorare più degli altri ed essere focalizzati sull’obiettivo che ci si è prefissati. Durante la sua carriera da atleta Stefano è riuscito a mettere in pratica al massimo questi concetti, riuscendo ad ottenere grandi risultati grazie al duro lavoro da lui compiuto.