Professionista dal 1934 al 1954, soprannominato Ginettaccio, vinse tre Giri d'Italia (1936, 1937, 1946) e due Tour de France (1938, 1948), oltre a numerose altre corse tra gli anni trenta e cinquanta, tra le quali spiccano quattro Milano-Sanremo e tre Giri di Lombardia.
In particolare la sua vittoria al Tour de France 1948, a detta di molti, contribuì ad allentare il clima di tensione sociale in Italia dopo l'attentato a Palmiro Togliatti. La carriera di Bartali fu comunque notevolmente condizionata dalla seconda guerra mondiale, sopraggiunta proprio nei suoi anni migliori; nel 2013 è stato dichiarato Giusto tra le nazioni per la sua attività a favore degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Riconosciuto come uno dei più grandi corridori italiani e mondiali di sempre, fu grande avversario di Fausto Coppi, di cui era più vecchio di cinque anni: leggendaria fu la loro rivalità, che divise l'Italia nell'immediato dopoguerra (anche per le presunte diverse posizioni politiche dei due): celebre nell'immortalare un'intera epoca sportiva – tanto da entrare nell'immaginario collettivo degli italiani – è la foto che ritrae i due campioni mentre si passano una bottiglietta d'acqua durante l'ascesa al Col du Galibier al Tour de France 1952.[1]
Il libro che racconta la sua storia si intitola "la corsa giusta".
Gino Bartali esordì come ciclista dilettante nei primi anni trenta con la società "Aquila divertente". Nel 1934 vinse la quinta edizione della Coppa Bologna, valida come terza prova del Campionato toscano dilettanti, e con questa vittoria si laureò campione di Toscana.[3] Nel 1935 si sentì pronto al passaggio al professionismo, ma si iscrisse alla Milano-Sanremo come indipendente. Incredibilmente si trovò in testa dopo avere staccato Learco Guerra ma, sia a causa di un guasto meccanico sia a seguito del disturbo creato dal direttore de La Gazzetta dello SportEmilio Colombo[4], venne ripreso e arrivò quarto in volata.
Venne quindi ingaggiato dalla società Fréjus, con la quale corse il suo primo Giro d'Italia, finendo settimo con una vittoria di tappa. Concluderà la stagione con la vittoria all'Escalada a Montjuïc, alla Vuelta al País Vasco e ai campionati italiani.
Nel 1936 passò alla Legnano, diretta da Eberardo Pavesi e capitanata da Learco Guerra, il quale, intuite le qualità del nuovo arrivato, si mise al suo servizio come gregario per permettergli il successo alla corsa rosa di quell'anno, successo che arrivò in modo trionfale per il toscano, con tre vittorie di tappa. Pochi giorni dopo Bartali pensò seriamente di abbandonare la carriera in seguito alla morte del fratello minore Giulio, avvenuta a causa di un incidente in una gara di dilettanti. L'anno si chiuse con la vittoria nel Giro di Lombardia.
Gino Bartali all'età di 21 anni (1935)
Nel 1937, ormai capitano della Legnano e numero uno del ciclismo italiano, vinse il suo secondo Giro d'Italia e fu designato come capitano della Nazionale per tentare la conquista del Tour de France, vinto solo due volte da un italiano, Ottavio Bottecchia, nel 1924 e nel 1925. Mentre era in maglia gialla una brutta caduta nel torrente Colau durante la tappa Grenoble-Briançon con conseguenti ferite alle costole e una grave bronchite lo costrinsero però al ritiro. Sempre nel 1937 divenne terziario carmelitano con il nome di Fra Tarcisio di S. Teresa di Gesù Bambino.[5]
Nel 1938 fu spinto dal regime fascista a saltare il Giro d'Italia per preparare il Tour de France, nel quale trionfò aggiudicandosi anche due vittorie di tappa e alla cui premiazione rifiutò di rispondere con il saluto romano. L'anno dopo riuscì finalmente a vincere la Milano-Sanremo ma, malgrado quattro vittorie di tappa, perse il Giro a favore di Giovanni Valetti.
Il Giro del 1940 e Fausto Coppi
Nel 1940 bissò il successo alla Milano-Sanremo e si preparò per cercare di vincere il suo terzo Giro. Nella squadra della Legnano era arrivato un promettente ragazzo alessandrino di nome Fausto Coppi, voluto da Bartali stesso come gregario. Durante la seconda tappa, la Torino-Genova, attardato da una foratura, Bartali cadde e si fece male a causa di un cane che gli tagliò la strada nei pressi di Boasi proprio mentre si stava ricongiungendo alla testa della corsa.[6][7][8] Pavesi, direttore del team, decise allora di puntare su Coppi, che era il meglio piazzato in classifica.
Fausto Coppi e Gino Bartali nel 1940
All'arrivo della tappa Bartali fece i complimenti a Coppi e si mise al suo servizio, come aveva fatto Guerra con lo stesso Bartali nel 1936. Proprio su una salita sulle Alpi Bartali era davanti di poche decine di metri a Coppi, che era alle prese con la classica "cotta" e forti dolori alle gambe. Fausto stava per scendere dalla bici con l'intenzione di lasciare la corsa. Bartali se ne accorse, tornò indietro, e ricordandogli i sacrifici fatti, riuscì a farlo risalire in bicicletta urlandogli: «Coppi, sei un acquaiolo! Ricordatelo! Solo un acquaiolo!». Bartali intendeva dire che chi non si impegna fino allo spasimo non è un vero ciclista, ma soltanto un acquaiolo, cioè un portatore d'acqua, un gregario non un campione. A Bartali piaceva mangiare e bere anche prima delle gare, a differenza di Fausto Coppi che era molto attento alla dieta.
Coppi alla fine vinse il Giro. La corsa, già disertata dagli stranieri, si chiuse il giorno prima dell'entrata in guerra dell'Italia, e la guerra sancì per cinque anni l'interruzione della carriera per i due campioni.
La guerra
Costretto a lavorare come riparatore di ruote di biciclette, fra il settembre 1943 e il giugno 1944, indossata la divisa della GNR[9], Bartali si adoperò in favore dei rifugiati ebrei come membro dell'organizzazione clandestina DELASEM[10] compiendo numerosi viaggi in bicicletta dalla stazione di Terontola-Cortona fino ad Assisi, trasportando documenti e foto tessere nascosti nei tubi del telaio della bicicletta affinché una stamperia segreta potesse falsificare i documenti necessari alla fuga di ebrei rifugiati, tanto che nel 2006 il Presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferì la medaglia d'oro al merito civile per avere contribuito al salvataggio di «circa 800 cittadini ebrei».[11]
Durante l'occupazione nazista nascose, in una cantina di sua proprietà, una famiglia ebrea fino all'arrivo degli Alleati.
Israele ha riconosciuto il suo impegno e nel 2013 è stato nominato “Giusto fra le Nazioni”. Giorgio Goldenberg, l'ebreo fiumano nascosto da Bartali, con la sua testimonianza inedita, ha permesso l'attribuzione del titolo da parte dello Yad Vashem, il Memoriale israeliano della Shoah.
Ricercato dalla polizia, sfollò a Città di Castello, dove rimase cinque mesi, nascosto da parenti e amici.
Ripresa la carriera nel 1945 Bartali, ormai trentunenne, era dato per "finito", nel frattempo Coppi, di cinque anni più giovane, era considerato l'astro nascente, benché la prigionia in tempo di guerra gli avesse reso difficile la ripresa dell'attività.
Nel 1946 Bartali vinse il Giro d'Italia - mentre Coppi, passato alla Bianchi, terminò alle sue spalle a soli 47 secondi - e stravinse poi il Tour de Suisse. Nel frattempo Jacques Goddet fondava un nuovo quotidiano, L'Équipe, e si preparava per l'anno dopo a riprendere l'organizzazione del Tour de France in un paese da ricostruire.
Nel 1947 Bartali vinse la Milano-Sanremo e perse il Giro d'Italia a favore di Coppi, anche per un banale guasto meccanico. Bissò comunque il successo al Tour de Suisse, all'epoca la più ricca, e una tra le più prestigiose, tra le corse a tappe.
Il trionfo al Tour del 1948
Il 1948 vide Bartali in difficoltà per vari motivi nella parte iniziale della stagione. Fu attardato da una caduta al Giro d'Italia, in cui terminò solo ottavo, facendo da spettatore a una conclusione che vide Coppi ritirarsi per protesta per la mancata squalifica di Fiorenzo Magni a causa delle spinte ricevute in salita (spinte che costarono il Giro a Ezio Cecchi, giunto secondo a soli undici secondi da Magni). Bartali fu quindi l'unico tra i big a potere rappresentare l'Italia al Tour de France (Coppi non si riteneva pronto e Magni non era "gradito" ai francesi per ragioni politiche, essendo sospettato di simpatie fasciste[12]) e venne designato capitano. Messa in piedi una "squadra da quattro soldi", come era stata definita, si apprestò al più grande trionfo della carriera.
Malgrado la non eccelsa squadra, l'astio dei francesi nei confronti degli italiani e l'età (con i suoi 34 anni era uno dei più anziani corridori presenti), entrò nel mito del Tour. Leggendaria in particolare la sua fuga sulle Alpi che gli consentì di vincere la Cannes-Briançon, attraverso il Colle d'Allos, il Colle di Vars e il Colle dell'Izoard (dove è ricordato con una stele), recuperando gli oltre venti minuti di svantaggio che lo separavano da Louison Bobet. Il giorno successivo vinse nuovamente nella tappa da Briançon a Aix-les-Bains, di 263km, attraverso i colli del Lautaret, del Galibier della Croix-de-Fer del Coucheron e del Granier, conquistando la maglia gialla.
Secondo molti l'impresa di Bartali aiutò a distogliere l'attenzione dall'attentato di cui era stato vittima Palmiro Togliatti, allora segretario del PCI, avvenimento che aveva provocato una grande tensione politica e sociale in Italia, che rischiava di sfociare in una guerra civile.[13] È comprovato che Alcide De Gasperi telefonò allo stesso Bartali, amico, estimatore e compagno dell'Azione Cattolica, per incitarlo, chiedendogli un'impresa epica che potesse rasserenare gli animi, la sera della vigilia della Cannes-Briançon. Erano passati 10 anni dall'impresa del 1938 sui medesimi colli, e ora aveva un distacco di 21 minuti da Louison Bobet, maglia gialla[14]. Durante il corso della tappa fu seguito da Vittorio Pozzo, che al suo attacco sul Colle dell'Izoard gli gridò: "Sei immortale"[15]. A Parigi i francesi applaudirono a lungo Gino, riconoscendogli valore sportivo e politico e riabilitando l'immagine degli Italiani, rei colpevoli della "coltellata alle spalle" della seconda guerra mondiale[senzafonte]. Vincendo stabili il record della distanza maggiore in anni fra il primo e ultimo Tour vinto (10 anni, ancora ineguagliato[16]). Al rientro dalla Francia il campione venne ricevuto dallo stesso De Gasperi, che gli chiese cosa avrebbe voluto in regalo per quell'impresa: Bartali, si racconta, chiese di non pagare più le tasse.[13]
L'anno si chiuse con il disastroso campionato del mondo su strada di Valkenburg in cui lui e Coppi, strafavoriti, anziché collaborare rimasero nelle retrovie controllandosi a vicenda, e si ritirarono tra la delusione dei tanti immigrati italiani in Olanda.
Gli ultimi anni (1949-1954)
Bartali alla vigilia della Milano-Sanremo 1950
Nel 1949 Bartali giunse secondo nel Giro d'Italia vinto da Coppi e lo aiutò poi nella vittoria al Tour de France, giungendo egli stesso secondo. L'anno dopo vinse una terribile Milano-Sanremo sotto il diluvio, ma decise poi di ritirarsi al Tour de France mentre Magni conduceva la corsa, causa l'aggressione dei tifosi francesi sul Colle d'Aspin.
Quarto nei Tour del 1951 e del 1952, in cui aiutò Coppi a vincere, vinse a trentotto anni il suo ultimo grande titolo, il campionato italiano. Nel 1953, dopo avere vinto a trentanove anni il Giro della Toscana, ebbe un incidente stradale che rischiò di fargli perdere la gamba destra per gangrena. Dopo pochi mesi però rientrò in scena alla Milano-Sanremo. Anche se non colse un grande risultato la folla fu tutta per lui.
Volle concludere la sua attività da professionista a Città di Castello, dove durante la guerra aveva passato diversi mesi da sfollato protetto dalla popolazione: fu creato un circuito apposta per l'occasione nel 1954.
Profondamente cattolico, nel 1950 fece una donazione di circa 100 000 pesetas, per contribuire a continuare i lavori della Sagrada Família a Barcellona.[17]
Dopo il ritiro
Un 83enne Bartali (a sinistra) al Giro d'Italia 1997, mentre insieme all'altro ex ciclista Francesco Moser (a destra) onora la maglia rosa dell'edizione, Ivan Gotti (al centro)
Nel 1959 ingaggiò nella sua squadra, la San Pellegrino Sport, il "Campionissimo" Fausto Coppi, allora in declino, con l'obiettivo di rilanciarlo. Coppi aveva invitato il suo ex rivale e ora caposquadra nel famoso viaggio in Alto Volta che avrebbe finito per costargli la vita, ma Bartali rinunciò, volendo passare i momenti liberi da gare con la famiglia, composta dall'amata moglie Adriana Bani (sposata nel 1940 a Firenze) e da tre figli, Andrea, Luigi e Bianca, con i quali era solito trascorrere le estati nella montagna di Pistoia, nel piccolo paese di Spignana[18].
Negli anni seguenti il fiorentino via via rarefece la sua presenza nel mondo del grande ciclismo, non esitando però a lanciare strali contro i mali del ciclismo: il doping, la corruzione e gli ingaggi troppo alti. Nel 1992 condusse il TG satirico Striscia la notizia.
Morì per un attacco di cuore nel primo pomeriggio del 5 maggio 2000, all'età di 85 anni, nella sua casa di piazza cardinal Dalla Costa a Firenze. Fu sepolto nel cimitero di Ponte a Ema, suo paese natale.
L'attività a favore degli ebrei
«Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all'anima, non alla giacca.»
Due maglie gialle indossate da Gino Bartali durante le vittorie del Tour de France sono custodite nella chiesa di Santa Petronilla a Siena.
Secondo alcune fonti che circolano dalla fine degli anni '70, Bartali trasportò, all'interno della sua bicicletta, dei documenti falsi per aiutare gli ebrei ad avere una nuova identità. Questa attività sarebbe nata dalla sua collaborazione con l'organizzazione clandestina DELASEM che a Firenze era diretta dal rabbino Nathan Cassuto e dell'arcivescovo della città Elia Angelo Dalla Costa. Nel maggio del 2005 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi consegnò alla moglie di Bartali, Adriana, la medaglia d'oro al valore civile (postuma) allo scomparso campione per avere aiutato e salvato molti ebrei durante la seconda guerra mondiale. Il 2 ottobre 2011, inoltre, Bartali venne inserito tra i "Giusti del Mondo" nel Giardino dei Giusti del Mondo di Padova.[20][21]
Nel 2010 la psicologa Sara Funaro e Andrea Bartali, figlio di Gino, cominciarono a raccogliere testimonianze dirette di queste operazioni, al fine di poter avviare la procedura di riconoscimento di Giusto tra le nazioni dallo Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell'olocausto.[22] Già erano note le versioni di alcune suore del monastero di San Quirico di Assisi, incontrate da Riccardo Nencini (nipote di Gastone Nencini) e da Andrea Bartali stesso.[23] La prima testimonianza fu quella di Giulia Donati, la cui famiglia ottenne dei documenti falsi da Bartali in persona,[24][25] a cui si aggiunse quella di Renzo Ventura.[26] In seguito si venne a sapere che Bartali, durante gli ultimi mesi dell'occupazione tedesca, diede ospitalità alla famiglia di ebrei istriani dei Goldenberg in una cantina di sua proprietà.[27] La testimonianza di Giorgio Goldenberg si rivelò determinante[28] e il 7 luglio 2013 Bartali venne dichiarato Giusto tra le nazioni dallo Yad Vashem.[29] Nella motivazione, resa pubblica il 23 settembre,[30] si legge:
«In seguito all'occupazione tedesca dell'Italia nel settembre 1943, Bartali, che era un corriere per la Resistenza, giocò un importante ruolo nel soccorso degli ebrei grazie ad una rete creata dal rabbino Nathan Cassuto a cui si unì [Elia] Dalla Costa. Bartali, che era noto per coprire lunghe distanze con la sua bicicletta per motivi di allenamento, trasportò documenti falsi da un posto all'altro. La sua attività coprì una grande area. Distribuì anche documenti falsi creati dalla rete di Assisi, un'altra operazione di soccorso cominciata dai religiosi di quella città.[29]»
Nella motivazione, inoltre, viene spiegato che finita la guerra Bartali confessò ad una parente del rabbino Cassuto il ruolo avuto nella distribuzione dei documenti contraffatti, ma che non volle che le sue parole fossero registrate.[29] Bartali, effettivamente, non raccontò mai pubblicamente questi avvenimenti, ma lo disse solo al figlio Andrea o ad alcuni amici raccomandandosi di mantenere il segreto.[31] Verso la fine della sua vita ne parlò brevemente a Marcello Lazzerini e Romano Beghelli che riportarono le sue parole nella biografia La leggenda di Bartali pubblicata nel 1992.[32]
Nel 2017 lo studioso Michele Sarfatti, in un articolo sul suo sito web, ha messo in dubbio la veridicità di questa ricostruzione, giudicando la fonte originaria dell'informazione inattendibile e probabilmente opera di fantasia; la notizia si sarebbe poi ampiamente diffusa nell'opinione pubblica a partire da tale fonte e viene citata anche da fonti successive ritenute autorevoli.[33] A questi ha replicato Sergio Della Pergola, membro della commissione per i Giusti tra le nazioni, contestando il fatto che Sarfatti abbia ignorato le numerose testimonianze disponibili, concentrandosi esclusivamente sulla fonte più fragile e meno attendibile.[34] Alla controversia si sono aggiunti Marco e Stefano Pivato che, con il libro L’ossessione della memoria pubblicato nel 2021, hanno nuovamente messo in dubbio la ricostruzione fatta dallo Yad Vashem.[35] Della Pergola e la famiglia Bartali hanno ulteriormente replicato ribadendo la serietà delle ricerche eseguite.[31][36] Inoltre Joel Zisenwine, direttore del dipartimento Giusti tra le Nazioni, ha ricordato in un comunicato stampa che è stata una commissione esterna e autonoma a Yad Vashem ad esaminare accuratamente le prove, che nel caso di Gino Bartali consistevano in «molteplici testimonianze di sopravvissuti» raccolte dopo un lungo processo di ricerca.[37]
Il 16 maggio 2017, alla vigilia della partenza dell’undicesima tappa del Giro d’Italia (da Ponte a Ema a Bagno di Romagna), la squadra israeliana di ciclismo Israel Cycling Academy fondata da Ron Baron ha organizzato una corsa con partenza dalla stessa Ponte a Ema fino ad Assisi, sullo stesso tragitto che 'Ginettaccio' percorse molte volte per aiutare gli ebrei perseguitati.[38]
Il 22 aprile 2018 il portavoce di Yad Vashem, Simmy Allen, conferma la notizia secondo la quale Gino Bartali ha ricevuto la nomina postuma a cittadino onorario di Israele, conferitagli nel corso di una cerimonia alla presenza della nipote Gioia Bartali, tenutasi il 2 maggio dello stesso anno, due giorni prima della partenza del Giro d'Italia da Gerusalemme.[39].
Nel 1963 esce una serie composta da 4 dischi 45 giri EP di Narciso Parigi dove ogni canzone viene anticipata da un dialogo divertente tra il grande campione ciclistico e Narciso Parigi.
Televisione
Nel 1959 insieme a Coppi cantò al Musichiere
Nel 1995 la RAI ha prodotto una fiction in due puntate con numerosi elementi sulla vita di Fausto Coppi intitolata Il grande Fausto, nella quale Bartali è stato interpretato da Simon de La Brosse.
Nel 2006 la RAI ha prodotto una mini-serie in due puntate sulla vita di Bartali intitolata Gino Bartali - L'intramontabile, nella quale il campione è stato interpretato da Pierfrancesco Favino. Il film è stato girato nella cittadina toscana di Cortona.
Nel 2016 la RAI ha prodotto il documentario intitolato Gino Bartali: il campione e l'eroe, ideato da Massimiliano Boscariol, vincendo al festival internazionale “Sport movies & tv 2016” la "Guirlande d’honneur".
Nel 2018 la RAI manda in onda su Rai 2 «Il Vecchio e il Tour»: il documentario su Gino Bartali a settanta anni dalla sua storica vittoria.
«Nel corso dell'ultimo conflitto mondiale, con encomiabile spirito cristiano e preclara virtù civica, collaborò con una struttura clandestina che diede ospitalità ed assistenza ai perseguitati politici e a quanti sfuggirono ai rastrellamenti nazifascisti dell'alta Toscana, riuscendo a salvare circa ottocento cittadini ebrei. Mirabile esempio di grande spirito di sacrificio e di umana solidarietà. 1943 - Lucca» —Roma 31 maggio 2005[42]
Nel maggio 2015, una targa dedicata a Bartali fu inserita nella Walk of Fame dello sport italiano al parco olimpico del Foro Italico a Roma, riservata agli ex-atleti italiani che si sono distinti in campo internazionale.[46][47]
Note
"Un anno di sport 1952" pubblicò l'immagine in copertina a colori con la seguente didascalia: "La foto dell'anno Giro di Francia 1952: Bartali passa l'acqua alla maglia gialla Coppi". La foto, scattata dal fotografo Carlo Martini, era stata in realtà preparata: Martini si mise d'accordo con i due corridori e con il direttore di gara, diede quindi la bottiglia a un suo amico e gli disse di porgerla ai due mentre passavano. Coppi, Bartali e quella foto entrata nel mito delle due ruote, su ilgiornale.it, 20 maggio 2009. URL consultato il 1º luglio 2021.
La Nazione – 1934 – Mario Liverani – La terza prova del campionato ciclistico toscano dilettanti – Bartali batte in volata i compagni di fuga Fabiani e Ciappelli
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