considera le partite giocate in casa in campionato. Dati aggiornati al7 giugno 1967
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Stagione
«Un tiruzzo di Di Giacomo, che poteva sembrare un passaggio, è stato messo dentro a palme aperte da Sarti, che per la disperazione ha poi battuto la testa contro il palo. Così la Juventus si è trovata campione quasi a dispetto dei santi...»
(Ricostruzione di Gianni Brera, estratta da Storia critica del calcio italiano, sull'errore di Sarti che costò all'Inter il campionato 1966-67.[3])
Sfumate le trattative con Eusébio e Beckenbauer dopo la chiusura delle frontiere operata dalla FIGC[4], la società mancò inoltre di accordarsi col cagliaritanoRiva[4]: a costituire gli unici rinforzi furono Dehò (promosso dal settore giovanile) e Luís Vinício[5][6], quest'ultimo scelto in luogo di un Peiró trasferitosi alla Roma.[5] Durante l'incontro con i capitolini del 12 novembre 1966 lo stesso attaccante iberico fallì un rigore[7], il primo concesso contro i meneghini dopo l'errore del bologneseHaller il 29 marzo 1964 (per un totale di 82 partite senza penalties a proprio carico).[7]
Contestualmente chiamato ad affiancare Fabbri sulla panchina della Nazionale italiana[8], Herrera confermò in blocco la formazione titolare pur risentendo della mancanza di alternative a Suárez e Corso.[9][10] Miglior finalizzatore risultò ancora Mazzola[11], peraltro protagonista di un celebre gol al Vasas (superando in dribbling una moltitudine di avversari per poi scaricare la palla in rete) in Coppa Campioni[12]: approdata agli ottavi di finale dopo aver superato la Torpedo Mosca (tramite un successo col minimo scarto a San Siro cui seguì un pareggio in terra sovietica[13]), la Beneamata regolò i magiari all'andata per poi espugnarne il terreno con una doppietta del suo asso.[14]
Facchetti consola il portiere Sarti, dopo che un errore di quest'ultimo costò lo scudetto: l'episodio fu assurto, successivamente, a tramonto della Grande Inter[15]
In campionato i nerazzurri poterono fregiarsi del titolo d'inverno con un punto di margine sulla Juventus[16][17], rivale con cui il dualismo toccò la sua acme[18]: in riferimento all'atavica contrapposizione[18], proprio nel 1967 il giornalista Gianni Brera coniò l'espressione «derby d'Italia».[19] Apparsa in grado di contenere la rimonta dei sabaudi nella seconda fase di torneo[5], l'Inter — la cui conduzione tecnica fu riassunta in toto da Herrera dietro richiesta del presidente Angelo Moratti —[8] giunse a collezionare una striscia di 54 sfide casalinghe senza battute d'arresto[20]: il 12 marzo 1967 San Siro fu violato dal Torino[21], prima opponente dal 29 gennaio 1964 a questa parte a uscire vittoriosa dall'impianto milanese.[22]
Per la terza volta nell'arco di un quadriennio venne raggiunto l'atto finale della Coppa Campioni[5], estromettendo nell'ordine il Real Madrid (con le reti di Cappellini a vendicare l'eliminazione patita nel 1966[13][23]) e il CSKA Sofia[13]: a piegare la resistenza bulgara nello spareggio (il cui ricorso fu dettato da un duplice nulla di fatto con Facchetti a segno in entrambe le circostanze[13]) fu ancora il centravanti.[13] Lo scorcio primaverile del campionato pose tuttavia in dubbio la conferma sul trono nazionale[3], complice una serie negativa inaugurata dopo il trionfo di Venezia[5]: colta sul campo dei lagunari l'ultima affermazione stagionale[5], i lombardi racimolarono appena 4 punti dalla 29ª alla 33ª giornata cedendo inoltre ai bianconeri nello scontro diretto.[3] Una sola lunghezza in classifica separò le contendenti a 90' dal termine del torneo.[5]
Il 25 maggio 1967 lo scozzese Celtic rappresentò l'ultimo ostacolo in ambito internazionale[3]: con Bicicli schierato in luogo dell'infortunato Suárez[10], un rigore di Mazzola valse il temporaneo vantaggio prima che il pressing britannico — agevolato, a detta della stampa, da un assetto tattico eccessivamente imperniato sul difensivismo —[10] sfociasse nei gol di Gemmell (62') e Chalmers (83').[15] Registrata la sua prima disfatta di sempre in una finale europea[24], l'Inter mancò quindi lo scudetto perdendo a Mantova[25][15]: sconfitta dai virgiliani per una rete dell'ex Di Giacomo su cui gravò l'errore di Sarti (lasciatosi sfuggire il pallone in rete[26][27]) la squadra precipitò al secondo posto[15], a −1 dalla Juventus che battendo di misura la Lazio si assicurò il tricolore.[3]
Il definitivo tramonto della Grande Inter si consumò a Padova[28], dove l'immediata uscita dalla Coppa Italia archiviò (per la prima volta dal maggio 1963) la stagione senza alcun trofeo in bacheca.[3]
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